Ho 47 anni, sono sposata, ho tre figli e in questo periodo mi sento abbastanza serena.
Eppure qualche settimana fa un sogno è riuscito a turbarmi.
Sono a casa, e in un angolo ci sono le “cose dei morti”, come si usava a casa dei miei: tra i giocattoli, ricordo, c’era una tenda da indiano. Ma non è ancora il periodo dei Morti.
Eppure mio figlio di 16 anni prende i giocattoli e li porta in piazza. Io mi arrabbio con lui, penso che non sia giusto che siano stati portati fuori prima del tempo perché possono essere rubati. Perciò dalla finestra li controllo, ma poi non li vedo più. Esco a cercarli...
Che vuol dire?
Questo aneddoto ha una duplice funzione: ci richiama a un’infinita prudenza nell’interpretazione e ricorda che l’importante è attivare una riflessione immaginativa sul tema che “il regista onirico” ci consegna volta per volta.

Le culture evolute onorano i loro defunti rivitalizzandone la memoria. È della nostra tradizione “festeggiare i morti” nel giorno a loro dedicato, che cade proprio in questo periodo; la commemorazione comprende anche dolci rituali - da noi chiamati “ossa dei morti” - e giocattoli donati ai bambini proprio come provenienti dai cari che non ci sono più.
Incontrare defunti, ricevere regali o misteriosi messaggi è un tema frequente nei sogni.
L’elaborazione della morte, il collegamento tra diverse generazioni, il tentativo di superare il limite imposto dalla realtà ordinaria è un tema costante che ritroviamo nell’attività onirica come anche nelle fiabe, nei miti e nei riti religiosi.
Il sogno conduce Francesca alla sua infanzia, a quell’angolo dei giocattoli che era comune a tutte le case, che i bambini fantasticavano venissero da un altro mondo. Che genialità culturale: connettere morte e gioco, esorcizzare paure e angosce creando un ponte con l’invisibile!
Oggi che dalla morte come dal passato si fugge a gambe levate. Tra i giocattoli di Francesca, chissà il perché di quella tenda indiana... forse una casa primitiva? Tutto ciò richiede intimità, cura, raccoglimento.
Ma l’adolescente porta troppo presto tutto in piazza, e l’eccesso di esposizione fa smarrire il giusto valore delle cose. Forse Francesca ha perso quella ritualità ludica che caratterizzava la sua infanzia, che il suo inconscio ha oggi bisogno di rivisitare.
Sta tutto lì il conflitto nel sogno: tra l’adolescente che espone troppo e senza il giusto tempo ma porta anche cambiamento e un adulto che si indigna passivamente, senza agire.
Non protegge ciò che ama, sta alla finestra a guardare e perde la sua memoria.
Nel sogno la perdita delle “cose dei morti” implica dunque un cambiamento, un’evoluzione necessaria per fare in modo che Francesca “esca per cercare”.
Nulla di cui turbarsi, dunque, non bisogna avere paura dei cambiamenti. La vita cambia e ci cambia di continuo. Basta saperlo accettare.
Eppure, la morte rappresenta una fine ma anche un inizio. Un passaggio di status, solo un cambiamento. Come ci ricorda la tredicesima carta dei tarocchi, l’Arcano che rappresenta appunto la Morte. Una carta a torto temuta ed evitata, come il numero 13 che la caratterizza. Ma la morte, e lo scheletro che in questa figura la rappresenta, altro non è, a ben considerare, che la rappresentazione di una rinascita. E per rinascere a una nuova condizione occorre prima “morire”. Una conquista non facile, ma indispensabile per rinascere “nudi”, senza il bagaglio di cose inutili accumulate “nell’altra vita”.
Abbandonando il modo abituale di vivere e pensare, i sistemi di valori che ci tengono prigionieri, le nevrosi che caratterizzando la nostra vita ci hanno reso schiavi di noi stessi e delle nostre abitudini, a favore di una nuova vita più “genuina”. “Morte”, dunque, come tappa dolorosa, ma necessaria e feconda, per intraprendere un cammino di conoscenza. Un lavoro di pulizia, una rivoluzione necessaria per il rinnovamento e l’ascesi che condurranno gradualmente a una nuova libertà e alla realizzazione di sé. Ecco perché, nella cruda rappresentazione degli arcani, nel campo dove la Morte miete con la sua falce, spuntano già i “germogli” di una nuova umanità. Il lavoro è duro, non è semplice dire addio, ma la posta in gioco è importante: una vita più piena e più aderente a sé.
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